“Dionaea muscipula, one of most beautiful plants in the world”, l’eterno ed inopinabile pensiero di un, appunto, eterno ed inopinabile naturalista come Charles Darwin.
Una Regina, che rimane al centro del mio cuore e del mio regno, come un imprescindibile pulsione d’energia vitale ed imperscrutabile “mistero del mistero” di questo amore senza se e senza ma.
Nel mio ordinamento gerarchico di questo formidabile gioco tra fantastiche creature vegetali carnivore, accanto alla Regina, si trova una altrettanto incredibile pianta, che pare il frutto di una perversa punizione divina, oppure di un celestiale premio non so, ecco, sì: un incontro improbabile tra penitenza e ricompensa, come risultato di un paradosso naturale, di una contraddizione, di una (quasi) svista degli Angeli.
Tanto si è detto e scritto su questa pianta, fin dalla sua scoperta e descrizione da parte di Jacques Julien Houtton de La Billardiere, circa 200 anni fa durante le esplorazioni nella sconosciuta e remota Australia da parte dei coloni europei.
Così tanto detto e scritto da allora ma, tuttora, molti aspetti di genesi, evoluzione, vita e coltivazione rimangono non interamente messi a fuoco!
Non è mia intenzione tuttavia, ora, porre l’attenzione su queste riflessioni, che comunque sono il fulcro primario di molte argomentazioni tra coltivatori.
Mi piace, dunque, spostare l’attenzione su una parallela questione, di certo più ludica e leggera ma ugualmente interessante (altresì concatenata alle prime e da sempre dibattuta con intensità) scaturita dalla domanda, frequente tra gli appassionati e collezionisti: “Esistono davvero forme giganti di Cephalotus? Se sì, quali? In altre parole: le condizioni ambientali e di coltivazione incidono sulla dimensione massima delle foglie e delle trappole? Oppure esistono esemplari, cloni, cultivar che, indipendentemente dalle condizioni nelle quali vivono, hanno nelle loro peculiari caratteristiche quella di una dimensione generale superiore alla media fin ad arrivare a record assoluti?”
Al fine di darmi una risposta e di placare la mia sete di notizie in merito, mi sono cimentato in articolate ricerche sul web, molte delle quali mi hanno offerto risposte soddisfacenti e foriere di spunti di riflessione.
Tra esse, quella che maggiormente ha attratto la mia attenzione e mi ha colpito per la sua approfondita analisi l’ho tratta da una discussione nata su un forum americano (FlytrapCare Forums), che trattava specificamente questo argomento.
Ne riporto lo stralcio conclusivo qui, di seguito, al fine di metterla a disposizione a chi fosse interessato al “mito” Cephalotus giant e non ne abbia preso visione e lettura precedentemente.
Il tema è trattato in profondità ed apre a nuovi stimolanti pensieri.
Comunque, riporto traducendo alla lettera quanto scritto in questo articolo da Augustin Franco, Ph. D., Sydney, N.S.W. Australia: Perché ci sono dei Cephalotus giganti?

Mentre non c’è una risposta immediata sul perché esistono cloni giganti di Cephalotus, molti coltivatori di piante carnivore credono che le cosiddette “forme giganti” siano dovute alle eccellenti condizioni di crescita delle “forme tipiche” che includono una miscela ottimale per il vaso, umidità, luce e temperatura. Questi, a loro volta, avranno un effetto drammatico sulle dimensioni della brocca. Questa ipotesi si basa sul fatto che in molti casi, come testimoniato da alcuni coltivatori di Cephalotus, le “forme giganti” non si sviluppano a grandezza naturale e queste sono solo fino al 10% più grandi della forma tipica. D’altra parte, quella che è considerata “forma tipica” delle piante di Cephalotus follicularis, può avere brocche lunghe fino a 5 cm o forse più, sempre che le condizioni siano ottimali per il loro sviluppo. Un aspetto importante non è stato preso in considerazione; molti ritengono che, poiché Cephalotus follicularis è l’unico membro del genere Cephalotus, l’omogeneità nella composizione genetica di queste piante è obbligatoria. In altre parole, ci si aspetta che tutte le piante siano uguali o abbiano lo stesso aspetto. Questa affermazione è senza dubbio errata. Ci sono variazioni nella forma della brocca e del coperchio, per non parlare delle dimensioni della brocca all’interno della stessa pianta (polimorfismo). Come risultato, le piante di Cephalotus in Danimarca, ad esempio W.A., dovrebbero avere alcune differenze genetiche minori rispetto a quelle trovate ad Albany, W.A. La presenza di variazioni minori in una specifica sequenza di codifica genica, così come variazioni nel contenuto genico, fanno parte di un “pool genetico”. Il fatto che queste differenze siano o meno evidenti all’occhio è irrilevante, perché la variazione genetica esiste quasi sempre all’interno di qualsiasi popolazione vegetale o animale. Questa ipotesi è supportata dal fatto che gli esseri umani o l’Homo sapiens appartengono ad una sola specie, ma ci sono diverse razze all’interno di questa specie e piccole differenze all’interno di una razza. Non significa che dobbiamo essere uguali? : Ovviamente no. L’incessante dibattito tra condizioni ambientali e composizione genetica vale anche per Cephalotus. Entrambi giocano un ruolo nello sviluppo di una pianta. Ci sono piante con la predisposizione a sviluppare brocche di grandi dimensioni, ma se queste non si trovano in un ambiente che favorisce una crescita ottimale, queste non raggiungeranno mai la dimensione massima. D’altra parte, una pianta cosiddetta “tipica” potrebbe essere soggetta a condizioni di crescita ottimali per le brocche per raggiungere la massima dimensione, ma se la pianta madre produce solo brocche di piccole dimensioni fino a 3 cm di lunghezza, la prossima generazione di brocche della stessa pianta non sarà lunga più di 3 cm (genetica mendeliana).L’esistenza di “forme giganti” di Cephalotus non può essere altro che una selezione artificiale di cloni predisposti per raggiungere la massima dimensione in condizioni di crescita ideali, ma artificiali. Infatti, le tecniche di coltura tissutale per la propagazione delle piante sono state eseguite almeno dalla fine degli anni ’60.La propagazione di piantine e talee in vitro favorisce il raddoppio, il “triplicamento” e persino il quadruplicamento dei cromosomi nelle cellule vegetali (Demoise, 1969). Questo fenomeno è noto come poliploidia. Quando le piante hanno cromosomi in più, di solito hanno caratteri più grandi: frutti, fiori e foglie più grandi. Inoltre, l’uso di sostanze chimiche alcaloidi in orticoltura come la colchicina, un noto induttore di poliploidia, prodotto naturalmente da una pianta Colchicum autumnale o Autumn crocus, è una pratica comune dalla metà degli anni ’40 per migliorare le caratteristiche fisiche delle piante (Dawe, 1998).

Non è affatto implicito che le origini del “Hummers Giant” e del “True Giant” siano dovute alla duplicazione dei cromosomi o all’esposizione ad induttori di poliploidia. I dati scientifici sono necessari per confermare o scartare l’ipotesi di duplicazione cromosomica. Si tratta, tuttavia, di una spiegazione molto plausibile su come sono nati questi cloni giganti, tenendo presente che il consenso generale riguardo alle dimensioni della brocca di Cephalotus follicularis è che sono piccoli e non più grandi di 5 cm (1,96 pollici).Le condizioni di crescita che si trovano in natura sono fattori limitanti; pertanto, le brocche non possono mai raggiungere le dimensioni massime, a causa della costante competizione per i nutrienti da parte di altre specie vegetali e animali che vivono in coabitazione con Cephalotus come la Drosera hamiltonii. Infatti, lo sviluppo del carnivoro vegetale può essere il risultato dell’adattamento e dell’evoluzione della pianta in terreni relativamente poveri di nutrienti, dove la pianta ha bisogno di utilizzare fonti alternative di nutrimento. Ci deve essere un buon equilibrio tra l’energia spesa e l’energia acquisita da una pianta. In un ambiente povero di nutrienti, una pianta non può permettersi di spendere molta energia nello sviluppo di brocche di grandi dimensioni. Forse è per questo che le piante di Cephalotus con brocche di lunghezza superiore a 5 cm sono molto difficili da trovare nei cespugli selvatici dell’Australia sud-occidentale, ma non significa che non esistono. Sarebbe interessante scoprire perché alcune di queste piante hanno una predisposizione a sviluppare brocche di grandi dimensioni, mentre altre no, quando la presenza di un grande fenotipo brocca non è apparentemente necessaria per la sopravvivenza della specie. Dopo tutto, le vittime di Cephalotus sono generalmente di dimensioni molto piccole. Quante di queste piante di Cephalotus dovrebbero intrappolare per soddisfare le loro esigenze nutrizionali, considerando che ogni pianta ha di solito più di una brocca?Ovviamente queste domande avranno bisogno di ulteriori studi. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito al completamento di questo articolo: John Hummer, Jan Schlauer, John Mathesson, Hilke Steinecke, Julie Jones, Andreas Siegler, e Stephen Beckwith per informazioni utili. Un ringraziamento speciale a Allen Lowrie, Gordon Cheers e Mr. Charles E. Brewer per le utili discussioni.BIBLIOGRAFIA Salute, G. 1992. Guida alle piante carnivore del mondo. Collins Angus Robertson, Sydney. 174 pp.Dawe, K. 1998. Organizzazione del cromosoma meiotico e segregazione nelle piante. Annu. Rev. pianta Physiol. Pianta Mol. Biol. 49:371-395.Demoise, C.F., Partanen, C.R. 1969. Effetti della subcoltura e delle condizioni fisiche del mezzo sul comportamento nucleare di una coltura di tessuti vegetali. Amer. J. Bot. 56:147-152.———————————————————————————————-
Ah! Che bella, bellissima analisi! Che illuminazione leggere e studiare le conclusioni di tali interessanti dibattiti!
Me la sono letta e riletta molteplici volte, soffermandomi su ogni riflessione affrontata.
E’ tutto molto chiaro e non necessita di ulteriori spiegazioni, ma si schiude ad un argomento nuovo, una domanda nuova: “cosa sono, CHI sono e da dove vengono i cloni “Hummers Giant” e “True Giant” citati in questa approfondita disamina?
Sono, infatti, i soli due cloni che vengono definiti e riconosciuti “ufficialmente” giganti, ma quale origine hanno? Come sono fatti? Chi li ha scoperti e da dove?
A breve la seconda parte di questo intervento-pensiero-riflessione con protagonista il mitico Cephalotus follicularis, nel quale cercherò di mettere luce ed ordine sulla storia di questo stupefacente gioiello multicolore, correndo (io) seriamente il rischio di scivolare in un anfratto spazio-temporale dove non esiste ne’ ordine ne’ disordine, ne’ falso ne’ vero e nemmeno l’assoluto, perché a favellar di Cephalotus l’é tutto relativo.
